domenica, marzo 16

Tibet


A due giorni dalle proteste nella capitale del Tibet, in cui i rappresentanti del governo in esilio dicono siano morte 80 persone, è scoppiata la rivolta anche in una delle province che confinano con lo stato himalayano, dove vive una grande comunità di tibetani.
I nuovi disordini si sono verificati poco dopo l'appello del Dalai Lama, guida spirituale del Tibet in esilio in India, che ha chiesto un'inchiesta per verificare l'esistenza di un genocidio culturale in Tibet da parte dei cinesi

Nel frattempo, Lhasa - città himalayana già da anni vietata ai giornalisti stranieri che da ieri è chiusa anche ai turisti - è stata completamente blindata da agenti antisommossa della polizia cinese nel tentativo di prevenire il ripetersi delle violenze di venerdì scorso, le peggiori registrate negli ultimi vent'anni.

Le violente proteste per la dominazione cinese in Tibet sono scoppiate dopo giorni di manifestazioni pacifiche guidate dai monaci buddisti.

Secondo le sempre più frequenti denunce filtrate attraverso le fitte maglie del regime, i monaci sono costretti a seguire dei corsi di rieducazione al termine dei quali devono firmare un abiura verso gli insegnamenti del Dalai lama, pena l'espulsione dai loro monasteri e il ritorno nei villaggi d'origine, con un marchio 'politico' non certo gradito agli eventuali datori di lavoro.

Nelle scuole, dove la lingua tibetana è studiata di fatto come seconda lingua, gli insegnanti spiegano agli studenti che la religione è 'un veleno'.
Di conseguenza i restauri di templi e monasteri realizzati e pubblicizzati dalle autorità servono in realtà soltanto per i turisti che sempre più numerosi chiedono di poter visitare il 'magico Tibet'.
Senza contare che le moderne costruzioni cinesi, com'è avvenuto soprattutto a Lhasa, hanno stravolto anche certi paesaggi di grande suggestione come l'antica capitale e il Potala, il palazzo che fu del Dalai Lama.
Ma la più grave conseguenza della presenza cinese è l'inevitabile integrazione e assorbimento dei tibetani

Le intenzioni politiche dei cinesi, oltre a restare ferme nell'intenzione di mantenere lo status quo, puntano a un controllo anche dell'ultimo spazio 'libero' nell'animo dei tibetani, il legame spirituale, e quindi intimo, con la religione e i loro maestri.
Dopo la morte del precedente Panchen Lama, membro del Comitato centrale del partito cinese e seconda figura spirituale del buddismo tibetano, i cinesi si sono affrettati a cercare la sua reincarnazione.

Ma quando il Dalai Lama ha individuato lo stesso bambino, il piccolo Gedun, in un povero villaggio di nomadi dell'Amdo, i cinesi hanno scelto di nominarne un altro al suo posto.
Così oggi ufficialmente il titolo di Panchen, in Cina, è detenuto da un altro fanciullo ancora ignaro dei retroscena politici, mentre Gedun si trova da qualche parte "sotto sequestro" delle autorità cinesi che si limitano a dire ufficialmente che sta bene, e che la sua sorte riguarda gli 'affari interni' della Cina.

Anche alla luce di questa vicenda molti ritengono in serio pericolo la prosecuzione del lignaggio spirituale dei grandi lama tibetani, compreso il Dalai.
Non è escluso infatti che alla sua morte i cinesi tenteranno di 'nominarne' uno d'ufficio.


Notizie tratte dal web

1 commento:

sirena ha detto...

Come sempre l'uomo cerca di annientare un altro uomo.
Io non ci sto.